La musica di Mozart e Beethoven per la pace in Palestina

Roma, 8 giugno 2025, ore 11. A piazza Vittorio, in una splendida mattinata di sole nella più piemontese delle piazze romane, ci sono famigliole con bambini che passeggiano, anziani sulle panchine che si godono la bella giornata, turisti curiosi che sbirciano in giro, ma non solo. Proprio al centro della piazza, c’è un gruppo di centinaia di musicisti, strumentisti e membri di numerosi cori di Roma. Sulla folla svettano i contrabbassi, insieme a violini e viole, violoncelli, ottoni, flauti di vari tipi e dimensioni, ma anche strumenti che di solito non trovano posto in un’orchestra classica, come fisarmoniche, liuti, chitarre, mandolini, mandole, melodiche e persino una ghironda. Intorno all’enorme massa dei musicisti si assiepa un migliaio di persone per dar vita a una civilissima protesta contro la strage di decine di migliaia di innocenti di Gaza che, da oltre un anno e mezzo, sono bombardati, bruciati vivi, lasciati morire di fame, di sete e di malattie nella più feroce e demenziale “guerra al terrorismo” della recente storia mondiale, guidata dal criminale di guerra Benjamin Netanyahu. Con il conteggio delle vittime palestinesi ormai giunto a quasi 60mila (ma, già a giugno 2024, la prestigiosa rivista medica britannica The Lancet valutava che le vittime avessero superato le 64mila), non si può più tacere.

Un violoncellista, con la bandiera palestinese sullo sfondo, durante il flash mob.

Il modo scelto dai cori e dagli orchestrali per contrastare l’odio e la follia del governo di Tel Aviv non è quello di inalberare cartelli minacciosi, urlare, scagliare sassi o rompere vetrine ma usare la grande musica per ricordare la tragica necessità di ritrovare la nostra umanità e di esprimerla in modo civile. Si chiede che i governi, colpevolmente muti finora, intraprendano passi concreti per fermare un massacro che si ripete, implacabilmente, giorno dopo giorno dal 7 ottobre 2023, quando i terroristi di Hamas uccisero 1200 israeliani, soprattutto civili, e presero in ostaggio centinaia di persone.  Il Primo ministro Netanyahu che, come hanno ripetutamente ricordato tutti gli analisti avveduti, ha rotto la tregua concordata con Hamas perché ha bisogno della guerra e dello stato di emergenza per salvarsi dalle accuse di corruzione che gli pendono sul capo e che rischiano di fargli terminare la carriera in galera. Il governo israeliano, quello più a destra da sempre nella storia dello Stato ebraico, accusa tutti i suoi critici di “antisemitismo” e presenta l’attuale esecutivo come l’unico baluardo che possa fermare l’ondata montante di estremisti che vogliono annichilire Israele. In realtà, Tel Aviv non è mai stata così isolata a livello mondiale come oggi perché l’uccisione insensata e senza nessuna finalità politica o militare di decine di migliaia di civili palestinesi ha cominciato a scuotere le coscienze.

La musica contro l’odio e la l’inumanità

In un’intervista al Corriere della Sera dell’8 giugno 2025 Victor Fadlun, alla guida della comunità ebraica di Roma, si è detto molto preoccupato per la situazione e ha dichiarato che l’affollatissima manifestazione per Gaza del 7 giugno «e molte delle parole pronunciate rischiano di soffiare sul fuoco di un antisemitismo che è tornato violentemente a crescere». Vorrei tranquillizzare Fadlun a proposito della manifestazione di Piazza Vittorio perché lì non c’erano antisemiti ma soltanto grandi appassionati, persone che ritengono la musica uno strumento quasi divino per innalzare le nostre coscienze e che sono sensibili alla morte dei bambini e delle bambine, a qualunque etnia e religione appartengano. Il brano con cui è iniziato il flash mob è stato il Lacrimosa, dal Requiem di Mozart. Il pezzo, forse il più toccante del genio di Salisburgo, ha un’importanza particolare perché fu scritto negli ultimi giorni di vita del musicista e rimase incompiuto proprio per la sopravvenuta morte del maestro che fece in tempo soltanto a completare le prime otto battute e lasciare degli appunti poi ripresi dal suo allievo Franz Xaver Süssmayr.

Il Lacrimosa richiama quindi la morte dell’autore ma anche le troppe morti di civili, donne e

Un altro momento della manifestazione dove è ben visibile la gioia e l’entusiasmo dei partecipanti.

bambini a Gaza e lo fa con note struggenti, potenti e delicatissime, che fanno vibrare corde profonde nel cuore delle persone sensibili. Il fatto che centinaia di cittadini, che non avevano mai provato prima insieme, siano riusciti a cantare e suonare non solo all’unisono ma a trasmettere il senso intimo di quelle note splendide ha quasi del miracoloso. Il suono non era quello dei leggendari Berliner Philarmoniker ma faceva percepire perfettamente il senso della composizione. Il brano seguente è stato un canto palestinese che è diventato un inno per la libertà e i diritti di un intero popolo. A questo è seguito un breve ritornello tratto dall’ultimo movimento della Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven che riveste una grande importanza non solo musicale ma anche politica perché l’Inno alla gioia è diventato, grazie a una scelta lungimirante, l’inno dell’Unione Europea. Finora la UE, soprattutto per responsabilità di Ursula von der Leyen che, come tutti i tedeschi, viene ricattata moralmente da Israele, non ha fatto nulla di concreto per porre fine all’eccidio in corso anche se alcune parole di Antonio Costa, presidente del Consiglio europeo, sembrano indicare un qualche cambiamento.

La manifestazione si è conclusa, ovviamente, con il canto di Bella ciao eseguito però in modo molto sentito ed esprimendo il senso intimo di parole che hanno rappresentato un momento di riscatto e speranza per l’Italia che, dopo il lungo sonno della ragione del Ventennio fascista, si riaffacciava sul futuro. Il popolo palestinese lotta per la propria autodeterminazione da quasi ottant’anni e si trova preso tra la ferocia dei terroristi di Hamas e la spietatezza dei bombardamenti israeliani. Effettivamente, non ci sono molte ragioni per essere ottimisti. Durante il flash mob mi sono guardato intorno, ho osservato il volto degli intervenuti che, forse, avevano attraversato l’intera città per partecipare, rinunciando a una placida domenica in famiglia. Mi sono chiesto se a Ryad, ad Amman, al Cairo, a Baghdad, ad Abu Dabi, a Doha si prendessero iniziative simili in favore dei “fratelli palestinesi”. Non ho trovato molte notizie al riguardo e questo sembra confermare che le monarchie del Golfo e gli altri Stati sunniti non sembrano molto interessati al futuro del popolo palestinese ma preferiscano lucrosi scambi commerciali con Israele, senza far troppo caso ai crimini contro l’umanità commessi negli ultimi anni. I cittadini del tanto deprecato Occidente sembrano invece mostrare di avere ancora un’anima e questo è certamente di buon auspicio.

Galliano Maria Speri