Coppa del mondo in Qatar, un pallone da cui cola sangue

Il calcio suscita grandi entusiasmi, forti passioni ma soprattutto fa girare tantissimi miliardi che stimolano potenti appetiti e condizionano governi e strutture sportive. Questo spiega come un Paese minuscolo, ricchissimo, ma senza tradizione calcistica, sia riuscito a ospitare il campionato del mondo, grazie a un’abile strategia che ha unto le ruote giuste in un disegno di espansione globale che va molto al di là del calcio. Per realizzare le smaglianti infrastrutture che si riempiranno dal 20 novembre 2022, il Qatar si è servito di lavoratori immigrati privati di ogni diritto che, nelle terribili condizioni in cui sono stati costretti a operare, sono morti a migliaia. Un libro rivela i retroscena dietro la splendente facciata del circo dei mondiali.

Si sa che gli italiani sono grandi esperti di calcio ma ben pochi tifosi sarebbero in grado di rintracciare il Qatar su una cartina geografica, o saprebbero spiegare come mai il più importante evento del calcio mondiale si volga proprio lì, in mezzo al deserto. Valerio Moggia ricostruisce l’intrigante storia dell’ambiziosissima dinastia Al Thani che è riuscita a conquistare un ruolo centrale nell’economia globale e nello sport professionistico, usando in modo spregiudicato le sue grandi ricchezze. L’autore nota come, dalla fine del secolo scorso, quando la crisi partita dagli Stati Uniti ha iniziato a indebolire l’economia occidentale, le monarchie del Golfo sono emerse come acquirenti di importanti club europei. Il Manchester City è stato acquistato dall’Abu Dhabi United Group, un fondo d’investimento di proprietà di Mansour Bin Zayed Al Nahyan, membro della famiglia reale e ministro degli Emirati Arabi Uniti, mentre il Qatar, retto da Tamin bin Hamad Al Thani, è diventato proprietario del prestigioso club francese del Paris Saint-Germain.

Gli enormi capitali arabi investiti nel calcio hanno portato a una vera e propria rivoluzione che ha però travalicato i confini dello sport e influenzato anche gli equilibri economici e geopolitici. Moggia spiega che gli alti profitti petroliferi hanno posto le basi per la preminenza economica degli sceicchi e, nello stesso tempo, hanno creato le condizioni per consentire al Qatar di aggiudicarsi la ventunesima edizione del campionato del mondo. “Le ricchissime monarchie dell’Islam conservatore –scrive l’autore- si sono imposte come ‘amiche’ dell’Occidente, marginalizzando gruppi religiosamente più progressisti – come erano, ad esempio, i palestinesi di Fatah – e favorendo l’ascesa del radicalismo islamico, a volte addirittura finanziandolo direttamente”.

 La storia dell’assegnazione

 Il 2 dicembre 2010 la FIFA, la federazione internazionale che si occupa dell’organizzazione di tutte le manifestazioni intercontinentali degli sport del calcio, assegna il mondiale al Qatar, per la seconda volta in Asia e per la prima in un Paese del Medio Oriente. Nel maggio del 2011 una fonte anonima rivela al britannico Sunday Times che “che il camerunense Issa Hayatou, l’ivoriano Jacques Anouma e il nigeriano Amos Adamu, tre importanti dirigenti della FIFA, avevano ricevuto 1,5 milioni di dollari per sostenere la candidatura del Qatar. Il caso arrivò addirittura alla House of Commons britannica e da lì esplose, costringendo la FIFA ad aprire un’indagine”. Due mesi dopo la discussione nel parlamento britannico, Phaedra Almajid, una donna che aveva lavorato nella comunicazione promozionale della candidatura qatariota e fonte del Sunday Times, ritratta le accuse, dice di essersi inventata tutto per ripicca dopo essere stata licenziata. La FIFA non trova irregolarità e il caso sembra chiuso.

Ma nell’estate del 2014 il Sunday Times, che nel frattempo aveva condotto una propria inchiesta

Nonostante i ripetuti scandali e le molte accuse di corruzione, la FIFA ha mantenuto la decisione di tenere i Mondiali in Qatar, che non brilla certo per la difesa dei diritti umani.

su come era avvenuta l’assegnazione del mondiale del 2022, pubblica i risultati di quel lavoro: migliaia di e-mail e documenti ufficiali che provano una vasta opera di corruzione in favore del Qatar condotta nel corso di molti anni da Mohammed Bin Hamman, un imprenditore qatariota di successo che nel 1992 era stato presidente della Federcalcio locale e, quattro anni dopo, era stato nominato alla guida della AFC, la Confederazione del football asiatico. Allo stesso tempo Phaedra Almajid contatta la BBC per confessare che la sua ritrattazione era dovuta alle minacce ricevute dalle autorità del Qatar. La donna inizia a collaborare con l’FBI che apre un’indagine sul caso, poi formalizzata dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. Viene arrestato Jerome Valcke, il numero due della FIFA che, secondo il New York Times, tirava le fila di un giro di corruzione internazionale del valore di dieci milioni di dollari.

Come mai, nonostante le inchieste e gli scandali, nessuno ha messo in discussione l’assegnazione del campionato mondiale al Qatar? Moggia ci ricorda che “fin dalla fine degli anni Duemila la Qatar Investments Authority, il fondo sovrano di Doha, ha iniziato a investire in alcune delle più importanti attività economiche al mondo. Possiede quote in Barclays, Volkswagen, Porsche, Lagardère, Total, Vivendi, France Telecom, Harrods, Sainsbury’s, Vinci, Shell, e addirittura dell’aeroporto londinese di Heathrow. E ovviamente possiede i due principali colossi delle comunicazione nel mondo arabo: Al Jazeera e beIN Sport”.

Schiavi al lavoro nei cantieri del Mondiale

Nel novembre del 2013 Amnesty International pubblica un rapporto secondo il quale il settore delle costruzioni in Qatar abbonda di abusi, con i lavoratori impiegati su progetti da milioni di dollari che soffrono seri problemi di sfruttamento. “È semplicemente imperdonabile che, in uno dei Paesi più ricchi al mondo, così tanti lavoratori migranti siano spietatamente sfruttati, privati delle loro paghe e lasciati a lottare per sopravvivere”, disse Salil Shetty, Segretario Generale di Amnesty International fino al 2018. Ma il peggio doveva ancora venire. Nel febbraio del 2021 un’inchiesta dell’autorevole quotidiano britannico Guardian denunciava che oltre seimila persone erano morte e svanite nel nulla nei cantieri del Mondiale. Secondo le autorità governative, solo una piccola parte delle morti individuate dal Guardian sono collegate al Mondiale e sono dovute a “cause naturali”. Ma se sei costretto a lavorare per molte ore al sole, “con temperature sempre tra i 30 e i 40 gradi e con l’88 per cento di umidità, forse questo dovrebbe influire un po’ sulla ‘naturalità’ del decesso”, commenta Moggia.

Amnesty International ha denunciato nei suoi rapporti sul Qatar le terribili condizioni imposte ai lavoratori stranieri e l’altissimo numero di morti nei cantieri del Mondiale. Nella foto, Ileana Bello, direttrice generale di Amnesty Italia dal giugno 2022.

Nel frattempo, ad agosto 2021, Amnesty International aveva diffuso un nuovo rapporto sulle violazioni dei diritti umani tra i lavoratori immigrati in Qatar, rivedendo al rialzo le stime del Guardian. Secondo l’ong, tra il 2010 e il 2019 gli stranieri – che sono per la stragrande maggioranza lavoratori sotto qualificati – morti nel Paese arabo sarebbero oltre 15.000, per lo più dovuti a non meglio precisate “malattie cardiovascolari”, secondo i dati ufficiali di Doha. A questo proposito, l’autore riferisce un caso che ha riguardato l’ANSA, la principale agenzia stampa italiana che “il 12 aprile 2021 pubblicava un articolo che definire vergognoso sarebbe troppo poco. In una manciata di battute, veniva spiegato che le accuse rivolte a Doha erano in realtà basate su notizie errate, e che invece i lavoratori migranti erano ‘tutelati’ dalle leggi invece che selvaggiamente sfruttati”. L’articolo non era firmato, ma sia in cima alla pagina web che in fondo al pezzo era riportata la dicitura “In collaborazione con l’Ambasciata del Qatar”. “Un articolo apertamente negazionista è stato approvato e pubblicato da uno dei più stimati organi di stampa del nostro Paese come se fosse una banalissima inserzione pubblicitaria”, chiosa l’autore.

D’altronde, ci sono pessimi precedenti di campionati giocati in Paesi governati da dittature, come avvenne nel 1934 in Italia, nel 1936 in Germania, nel 1964 nella Spagna franchista ma il caso più terribile fu quello del 1970, quando la Coppa del Mondo venne disputata in Argentina, durante le feroci repressioni della dittatura del generale Videla che aveva portato a decine di migliaia di desaparecidos. Ma quella competizione non venne fermata perché “c’erano troppi soldi in ballo: dal 1970, la Coppa del Mondo era diventato un business enorme, che consentiva alla FIFA di instaurare importanti legami politici e ai Paesi organizzatori di accedere a grandi risorse economiche e trovare nuovi partner commerciali. Colossi dell’industria tedesca come Siemens, Mercedes e Telefunken erano tra i principali sponsor del torneo. La Francia stava facendo grossi affari cedendo all’Argentina i suoi armamenti, come abbiamo visto. L’Olanda era uno dei principali partner commerciali della Giunta, la sua banca ABN stava espandendosi nel Paese sudamericano e Fokker costruiva gli aeroplani sui quali i militari caricavano i cadaveri da gettare nel mare. Il Mondiale era il collante che teneva insieme tutta questa catena di affari che, senza la scusa dello sport, sarebbero stati ritenuti piuttosto immorali”.

Certo, il Qatar non può essere paragonato alla dittatura argentina ma è importante che i tifosi e gli appassionati che seguirannno le partite ricordino il terribile prezzo umano pagato per rendere possibile quest’evento. Il libro si conclude con una considerazione amara: “Come guarderemo il Mondiale di Qatar 2022 (se lo guarderemo)? Ci ricorderemo di tutte queste cose o per una novantina di minuti al giorno ci abbandoneremo alla passione sportiva? Non c’è una risposta corretta, purtroppo, perché in fondo non è giusto che siano le persone come noi, quelle che hanno meno responsabilità, a doversi fabbricare una croce e trascinarsela dietro per conto terzi”.

Valerio Moggia
La coppa del morto
Storia di un Mondiale
che non dovrebbe esistere
Ultra Sport, pag. 112, euro 13

Galliano Maria Speri