La chiave per capire il Medio Oriente? Semplicemente la storia

La situazione della Siria e dei Paesi confinanti rimane tragica e continua a generare vittime e profughi di cui ci preoccupiamo soltanto quando arrivano sulle nostre coste. L’Europa sembra aver voltato pagina anche se la guerra civile continua, l’ISIS è sempre attivo, brutalità e violenze accadono ogni giorno. Parte del disinteresse è dovuto alla scarsa comprensione dei fenomeni di quell’area, studiata con schemi inadeguati che non riescono a decifrare la complessità della situazione sul campo. Un saggio rigoroso e approfondito ci aiuta a focalizzare meglio gli eventi.

Lorenzo Trombetta, corrispondente dell’ANSA da Beirut, collabora con diverse riviste e unisce alla professionalità e alla curiosità umana del giornalista anche il rigore metodologico dello studioso. Grazie a queste qualità rifugge dalle approssimazioni, spesso grossolane, con cui i media occidentali descrivono gli eventi di un’area che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, non riesce a trovare letteralmente pace. Il suo ultimo libro cerca di arrivare alle radici dei problemi e individuare le cause profonde di fenomeni complessi come le azioni dei cosiddetti “terroristi” che non sono extraterrestri paracadutati da Marte ma sono il prodotto di eventi storici, scelte economiche, stratificazioni sociali, interessi di poteri globali e locali e anche di scelte individuali.

Le radici antiche

La “guerra al terrorismo” è uno slogan comodo che viene ormai strumentalizzato per colpire sia azioni criminali vere e proprie che ogni forma di opposizione politica a regimi corrotti e inefficienti. Quando dittatori come Putin, Erdogan o al-Sisi parlano del loro impegno contro il “terrorismo”, dopo aver riempito le proprie carceri di oppositori politici, non possono essere molto credibili. Per capire certi sviluppi è necessario usare una metodologia rigorosa, un ricco apparato bibliografico, conoscere le lingue, cercare le risposte in loco e rifuggire dalle conclusioni affrettate. Questo è il metodo seguito da Trombetta, ecco perché il suo lavoro si rivela utile sia allo studioso che al lettore curioso che vuole capire di più.

Diversi analisti parlano di un Medio Oriente travagliato da una guerra civile tra sunniti e sciiti, ma questa osservazione, anche se veritiera, è molto approssimativa per una realtà che non presenta soltanto un mosaico complicatissimo di situazioni locali che si intersecano con gli interessi e le strategie di potenze esterne. Se vogliamo capire le motivazioni del confessionalismo, che ha portato alla creazione di milizie armate e poi a una serie infinita di guerre intestine, dobbiamo analizzarlo nel contesto dei tentativi di riformismo dell’Impero ottomano che presero vita a partire dal XIX secolo. Con l’Editto di Gülhane del 1839, venne proclamata l’adozione del principio di uguaglianza legale di tutti gli individui sottoposti all’autorità ottomana, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa. Ma in questo modo le elites musulmane sunnite videro minacciata la loro posizione di egemonia cittadina e rurale, anche perché le strutture consolari francesi, britanniche, austriache e russe avevano subito cercato di sfruttare la situazione per allargare la loro influenza.

Certo, le cancellerie europee salutarono con entusiasmo quella scelta di apertura ma l’idea di

Koca Mustafa Reşid Pasha (1800-1858), politico e diplomatico ottomano. Riformista convinto, fu l’architetto principale dell’Editto di Gülhane che, però, aprì la strada al confessionalismo.

uguaglianza dei cittadini dell’Impero era un tema che, non solo divise musulmani e non musulmani, ma creò anche animosità e tensioni tra ebrei e cristiani, tra sunniti e sciiti, drusi, alawiti, ismaeliti. Il risultato fu che ogni gruppo religioso iniziò a creare una milizia con cui difendersi dai “nemici”. L’esempio più chiaro e devastante di questa tendenza è il Libano, uno Stato virtualmente fallito, in cui le varie organizzazioni confessionali, nate per difendere i correligionari, operano come cosche mafiose che si dividono un ricco bottino, mentre i cittadini non possono nemmeno prelevare i risparmi dai propri conti bancari.

 La rabbia è figlia della sofferenza

Per comprendere le motivazioni che generano costantemente proteste violente, senza mai portare però a una situazione di crescita economica e stabilità sociale, è necessario riflettere sul fatto che “nella Siria contemporanea, così come in gran parte dei territori mediorientali, il patto sociale si è basato e si basa ancora oggi su un articolato processo di prelievo delle risorse del territorio e una distribuzione non equa dei servizi e delle rendite. È un paradigma di potere dominante da secoli, ben prima dell’avvento dei regimi ba‘thisti incarnati dalla famiglia Asad”. Il problema è che, da almeno quattrocento anni, i territori siriani sono governati da poteri centrali che concepiscono queste terre come una risorsa da sfruttare e non su cui investire per lo sviluppo delle varie popolazioni. Il controllo della società è mantenuto tramite le strutture onnipresenti del Partito Ba’ath e un’articolatissima rete clientelare, basata sulla distribuzione diseguale di favori e protezioni.

È chiaro che un sistema di questo tipo, tipicamente maschilista, produce profonde disuguaglianze e crea sofferenza e rabbia che, a loro volta, generano le basi per ricorrenti conflitti sociali e politici. “In molti casi –spiega l’autore-, quello che spinge gli individui e i gruppi a protestare con forme apertamente trasgressive, arrivando a sfidare la minaccia repressiva del potere, non è tanto la povertà o la fame, bensì il timore di rimanere esclusi dal beneficio e dalla gestione delle risorse e dei servizi. È la paura di essere tagliati fuori dal sistema di distribuzione. Di rimanere senza prospettive di crescita e di sviluppo”. Gli esclusi, gli sfruttati che non vedono un futuro per sé e i propri figli, sono pronti a tutto, facili prede di sirene che alimentano rabbia e desiderio di vendetta.

Bandiera dell’ormai sconfitto Stato Islamico. Questa organizzazione di terroristi fanatici è riuscita ad attirare molti emarginati che, sbagliando miseramente, si sono illusi di trovare un riscatto personale nelle sue offensive criminali.

A questo proposito, è molto interessante la storia raccontata all’autore nel 2015 da Nabil, un cristiano fuggito insieme alla sua famiglia dalla località irachena di Qaraqosh, lungo il corso del Tigri. L’anno prima, Nabil aveva dovuto abbandonare la casa con moglie e figli perché la cittadina era stata conquistata dall’ISIS. “Li conosco bene, sono venuti da Sallamiya”, un’altra località alla periferia di Mosul, a pochi chilometri da Qaraqosh. Gli abitanti di Sallamiya, musulmani sunniti, hanno lavorato per decenni come braccianti nei campi agricoli di proprietà delle famiglie di Mosul e di alcune famiglie benestanti di Qaraqosh. Non mostri quindi, ma poveri ed emarginati che hanno cercato un riscatto personale sotto le bandiere nere del fanatismo islamico. “Pensa che qualche settimana fa ho ricevuto una chiamata…era proprio quel giovane di Sallamiya che si è preso la mia casa…e mi ha chiesto la password del mio laptop! La password del mio laptop, capisci? Si è preso tutto”.

In Siria la situazione è esplosa quando il boom demografico si è manifestato in tutta la sua dirompenza e, nell’intera regione, hanno cominciato a farsi sentire gli effetti disastrosi della crisi finanziaria del 2008. La guerra civile siriana, con tutte le sue atrocità come i bombardamenti di civili con bombe a grappolo, l’uso di armi chimiche da parte delle forze governative e la brutalità generalizzata delle truppe russe, ha portato alla partizione del territorio tra governo centrale (sostenuto militarmente da Russia e Iran), Turchia a nord-ovest, regione autonoma curda a nord–est. Nella Siria centrale ci sono aree dove sono ancora presenti militanti dell’ISIS, mentre a sud, lungo il confine con la Giordania, c’è un avamposto controllato dagli Stati Uniti, tramite milizie locali.

Anche l’intervento umanitario internazionale ha dato risultati molto limitati, sia perché il governo e le sue istituzioni sono riuscite a fungere da intermediari, lucrando sui soccorsi, ma anche perché la logica stessa degli aiuti, che rispondono alle emergenze dell’oggi, non ha permesso di piantare i semi di un possibile sviluppo futuro. Non esistono facili soluzioni ma certamente, come sottolineato ripetutamente dall’autore, è estremamente importante tenere conto delle realtà locali, frutto della complessa stratificazione dei secoli e della delicata interazione di numerosi fattori di una società che ha mantenuto, in molte sue articolazioni, una struttura premoderna.

Lorenzo Trombetta
Negoziazione e potere in Medio Oriente
Alle radici dei conflitti in Siria e dintorni
Mondadori Università, pp. 374, 29 euro

di Galliano Maria Speri