Lettera aperta a Vladimir Vladimirovič Putin

 

Caro Vladimir,
scusa se ti do del tu ma, ormai, sei diventato uno di famiglia visto che appari tutte le sere in televisione all’ora di cena per ragguagliarci sui successi della tua “operazione militare speciale”. Mi permetto di scriverti perché il 7 dicembre, giorno in cui viene festeggiato Sant’Ambrogio, la Scala inaugura la nuova stagione con il Boris Godunov del grande autore russo Modest Musorskij. Poiché la prima viene trasmessa in diretta da RAI 1 e Radio 3, questa mi sembra un’ottima occasione per rivedere uno dei grandi capolavori dell’opera mondiale e meditare sui suoi contenuti profondi. Onestamente, non so se tu guardi la televisione italiana, se sei un appassionato di lirica e neppure se ti piaccia la grande tradizione classica occidentale, ma poiché ti sei autonominato paladino e difensore dei valori universali della Civiltà, contro l’avanzare della barbarie, vorrei dirti due paroline sull’opera del tuo famoso conterraneo.

La solitudine del tiranno

Come sai certamente, siamo nel 1598 e il personaggio principale è un boiardo che conquista il potere ordinando l’assassinio dello zarevič Dimitri, legittimo erede al trono. (A quanto sembra, tu dovresti avere una certa dimestichezza con un tema di questo tipo, vista l’altissima mortalità che colpisce i tuoi avversari e i tuoi critici). L’anziano monaco Pimen, l’unico a conoscere il mandante del delitto, scrive una cronaca che riporta la verità sull’assassinio dello zarevič, e la confida al novizio Grigorij che decide di spacciarsi per il principe assassinato per guidare una rivolta contro l’usurpatore. Le ultime scene narrano fatti accaduti nel 1604: i figli di Boris, Xenia e Fëdor sono cresciuti; lo zar governa ormai un Paese stremato dalla carestia in cui il malcontento serpeggia tra il popolo e si moltiplicano le voci sul regicidio commesso, mentre alle frontiere premono le forze ribelli guidate da Grigorij. Perseguitato dal fantasma dello zarevič, Boris Godunov perde il senno e muore dopo un’ultima esortazione al figlio Fëdor.

Nel Don Carlo di Verdi, Filippo II (1527-1598) fa delle profonde riflessioni sulla natura del potere e sulla solitudine di chi detiene tale potere. Qui nel ritratto di Tiziano conservato al Museo del Prado a Madrid.

Una cosa che hai sicuramente in comune con Boris Godunov è la fredda determinazione a perseguire i tuoi obiettivi, qualunque sia il prezzo umano da pagare. Ma c’è un altro aspetto che vi rende simili: la solitudine. Sì, perché il potere assoluto ti isola da tutto e da tutti. Sei padrone della vita e della morte dei cittadini che governi ma sei sempre solo con te stesso e hai dovuto rinunciare a quei sentimenti e a quelle emozioni profonde che ci rendono umani. Non puoi più gustare quello che Shakespeare chiama “the milk of human kindness”. Giuseppe Verdi, il più grande operista italiano, descrive molto bene nel suo Don Carlo, tratto dall’omonima tragedia di Friedrich Schiller, la solitudine del monarca assoluto nella scena in cui Filippo II di Spagna medita sul senso della vita, alla fine di una giornata in cui si ritrova solo all’interno dell’immenso Escorial. Il suo è un regno “su cui non tramonta mai il sole” ma il detentore di tale enorme potere è isolato dagli altri, e la sua splendida reggia lo accoglie, da vivo, come un sontuoso mausoleo.

Chi siede isolato in cima alla piramide del potere non solo non ha amici, ma neppure consiglieri fidati che parlino in nome degli interessi superiori della Patria. Vladimir Vladimirovič tu sei circondato da cortigiani che ti versano mellifluamente nelle orecchie solo quello che loro ritengono tu possa gradire. Hai ordinato l’invasione dell’Ucraina credendo di assistere a una marcia trionfale e incruenta verso Kyiv, con le donne che sarebbero scese in strada a offrire fiori e baci ai coraggiosi soldati russi venuti a liberare il “Paese fratello” dal “giogo nazista (?)”. Né tu né il tuo circolo di potere avevate immaginato che i “fratelli ucraini” avrebbero opposto, con il sostanziale aiuto dei Paesi occidentali, una resistenza tanto dura e coraggiosa perché hanno un’idea di futuro diversa da quella che hai tu. Pur con tanti equivoci e ritardi, il popolo ucraino ha ormai capito gli enormi vantaggi di una società più libera e aperta e non è disposto a tornare indietro nella storia.

Con la conquista dell’Ucraina pensavi di imporre al mondo il fait accompli di una Russia tornata di nuovo potenza mondiale e capace di incutere timore e rispetto, come ai tempi della Guerra fredda. Il tuo nuovo status di geniale e valoroso condottiero che aveva riportato il proprio Paese tra i grandi della Terra doveva essere sancito il 15 e 16 novembre 2022 all’incontro del G20, quando i capi delle principali economie del mondo si sarebbero inchinati di fronte alla riacquistata grandezza della Russia. Ma le sconfitte militari sul campo ti hanno consigliato di non presentarti di persona perché rischiavi di essere isolato e umiliato. La Cina e l’India hanno addirittura aderito all’appello generale a porre fine alle ostilità che massacrano gli ucraini ma rischiano anche di innescare una crisi economica che aprirebbe scenari pericolosissimi per tutto il mondo. Hai allora immaginato che l’incontro del 23 novembre 2022 dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, che riunisce Russia e altre cinque nazioni dell’ex URSS, avrebbe dovuto consolidare almeno la tua influenza regionale. Ma anche lì hai ricevuto accuse umilianti e recriminazioni durissime per porre fine all’invasione.

La saggezza del “fool” shakespeariano

Probabilmente, un ex agente del KGB come te guarda con molta sufficienza a come il teatro possa darci profonde lezioni politiche sulla gestione del potere. Forse ritieni che i rapporti di forza vengano modificati in modo più sicuro con un colpo di Makarov, oppure con dei discreti tè al polonio. Le grandi tragedie di Shakespeare ci insegnano invece che ogni monarca ha bisogno di avere accanto un fool, un giullare che ha il compito cruciale di dire al re la verità, senza timori o ritrosie e rischiando anche la propria vita nello sfidare la volontà fallace del sovrano. Se tu avessi avuto vicino un pazzo in grado di dirti la verità, forse non avresti commesso il peggiore errore della tua vita, che rischia di ripercuotersi in maniera distruttiva proprio su quella Russai che dici di amare tanto. Anche se può sembrarti grottesco in una situazione come l’attuale, il mio consiglio è quello di prenderti qualche ora e seguire anche tu il capolavoro di Musorskij perché potrai trarne insegnamenti molto utili.

Il libretto del Boris Godunov, ispirato dal dramma omonimo del geniale poeta russo Aleksandr

Il finale del Boris Godunov di Modest Musorskij (1839-1881) rappresenta un monito al potere assoluto tenuto, come tutti, a rispettare la volontà divina. (Il ritratto di Il’ja Repin è conservato nella Galleria Tret’jakov di Mosca)

Sergeevič Puškin, ha come argomento la tragedia del potere, che nasce dal sangue e chiama altro sangue, in un ciclo ineluttabile che in Russia ha visto succedersi autocrazia dopo autocrazia. Puškin chiude la sua tragedia con una didascalia che ci lascia ammutoliti: “Il popolo tace”. Tace perché non ha nessuna intenzione di applaudire l’ennesimo tiranno, che manda i giovani a morire in “operazioni militari speciali” senza motivazioni reali e con dotazioni inadeguate, che manipola la realtà con una massiccia campagna di falsità che ingannano, prima di ogni altro, proprio il popolo russo. Nell’opera di Musorskij il monito finale viene affidato a uno dei personaggi più toccanti, uno jurodivij, un folle che, di fronte a Boris, ha il coraggio di rifiutargli una preghiera “perché non si può pregare per il re Erode, la Madonna non vuole”. Ed è lo stesso personaggio che pronuncia la profezia finale sul fosco destino che attende il suo popolo: “Sgorgate, sgorgate lacrime amare. Sventura, sventura sulla Russia! Piangi, piangi popolo russo”.

Vladimir Vladimirovič, immagino che nelle lunghe notti invernali, quando non riesci a prendere sonno, tu percorri gli enormi saloni del Cremlino, udendo lo scalpiccio lugubre dei tuoi passi che risuonano sordi, e pensi agli zar che, nei secoli passati, hanno percosso, con i loro stivali luccicanti, gli stessi pavimenti. Certamente i saloni saranno illuminati a giorno, i cristalli dei lampadari lanceranno bagliori caleidoscopici, gli specchi enormi rimanderanno la luce in ogni angolo, anche il più riposto ma, nonostante il chiarore, ci sarà sempre il rischio di incontrare i fantasmi che vengono dal tuo inconscio.

La giornalista Anna Stepanovna Politkovskaja (1958-2006) ha pubblicato libri e articoli molto critici sulla politica di Putin, soprattutto sulla brutale seconda guerra cecena. Fu assassinata il 7 ottobre 2006 sotto la sua casa di Mosca. I mandanti dell’omicidio non sono mai stati individuati.

Come nel Macbeth shakespeariano, vagando nei saloni vuoti, potresti improvvisamente imbatterti nello spettro di Anna Stepanovna Politkovskaja, che si limiterà a fissarti lungamente negli occhi, col suo sguardo mite. Magari, è anche possibile che lo spettro di Boris Nemtsov, freddato con quattro colpi di pistola a poche centinaia di metri dal Cremlino, sbuchi repentino da dietro a una colonna. Forse la vista dei fantasmi non appannerà il tuo sguardo di ghiaccio, mentre ti appresti a organizzare le celebrazioni del Natale ortodosso che cade tra poco più di un mese. Il mio invito spassionato è quello di fare grandi festeggiamenti e sfruttare al massimo la grandiosità degli imponenti saloni perché il prossimo potrebbe essere uno dei tuoi ultimi Natali nello sfarzo del Cremlino. La grande statua equestre che, nella tua immaginazione, dovrà suscitare la stupita ammirazione dei posteri è ancora salda ma cominciano a manifestarsi crepe minuscole, quasi invisibili a occhio nudo. Ma poi le crepe si allargheranno e….

Buon Natale Vladimir Vladimirovič

Galliano Maria Speri