Xi Jinping usa Nancy Pelosi come scusa per lanciare l’offensiva contro Taiwan

La Russia ha letto il disastroso ritiro alleato da Kabul come un tangibile segno del declino della potenza americana e ha ritenuto di avere le mani libere per invadere l’Ucraina. Allo stesso modo, la Cina ha rafforzato i suoi legami militari ed economici con Mosca e ha intensificato la campagna per riportare l’isola “ribelle” sotto il suo completo dominio. La visita della speaker della Camera statunitense a Taipei è stata soltanto un pretesto per mostrare i muscoli e minacciare tutti i Paesi che si affacciano sul Mar cinese meridionale.

La presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, ha ricevuto la speaker della Camera USA Nancy Pelosi e ha ribadito che l’isola intende difendere il suo sistema democratico.

Il 3 agosto 2022 Nancy Pelosi ha fatto una breve visita a Taiwan dove ha incontrato la presidente Tsai Ing-wen e le principali autorità dell’isola, nonostante le minacce cinesi che avevano usato toni estremamente bellicosi e aggressivi. Il presidente Biden non aveva sostenuto l’iniziativa e aveva dichiarato che il viaggio “non era una buona idea”. La maggior parte degli analisti ha criticato la scelta di Pelosi, terza carica degli USA, che rappresenta una Camera che in passato ha spesso preso posizioni molto dure contro la Cina, non dovendo tener conto delle limitazioni diplomatiche che condizionano l’azione della Casa Bianca. L’argomentazione usata è che in un momento così delicato, con una guerra in corso in Europa, non sembrava molto saggio andare a provocare il nazionalismo cinese. Qualcuno è arrivato a descrivere la speaker della Camera come una persona avventata che ha rischiato di aumentare le tensioni internazionali senza ottenere grandi benefici, né per gli Stati Uniti né per Taiwan. Ma sono proprio le reazioni cinesi che dimostrano come la visita di Pelosi non sia la causa della preoccupante militarizzazione dell’area.

Xi mostra la faccia feroce

Come risposta alla “provocazione” della visita di Nancy Pelosi, dal 4 al 7 agosto, l’Esercito popolare di liberazione cinese ha tenuto le sue più grandi manovre mai organizzate nell’area, dispiegando decine di aerei e lanciando missili balistici – che per la prima volta hanno anche sorvolato l’isola, oltrepassando più volte la linea mediana che separa Taiwan dalla terra ferma. Lo scopo delle manovre, che ha coinvolto 13 navi e 29 aerei, è mostrare l’intenzione cinese di riprendere il controllo dell’isola, anche con mezzi militari, e sfidare Washington a rischiare una guerra per difendere la democrazia a Taipei. L’ampiezza, la durata e il massiccio uso di lanci missilistici, caduti anche nelle acque territoriali giapponesi come monito contro il Paese del Sol levante, dimostrano che le manovre militari non sono state una reazione emotiva alla visita della politica americana ma erano state accuratamente programmate da molti mesi.

Finita l’operazione taiwanese, navi ed aerei cinesi si sono concentrati sul Mar Giallo, dove hanno svolto manovre fino al 19 agosto. Altre unità solcano incessantemente il Mar cinese meridionale, dove affiorano una decina di isole artificiali fortificate negli anni da Pechino e che, in caso di conflitto, potrebbero essere utilizzate per minacciare il nemico sia con forze aeree che missilistiche. Ma la progressiva militarizzazione del Mar cinese meridionale ha allarmato tutti gli stati rivieraschi che hanno iniziato a prendere contromisure per far fronte all’espansionismo cinese sui mari. Dallo scorso anno, la marina militare cinese è la più grande del mondo, anche se non è ancora la più potente e moderna, ma è chiaro che con il solo aspetto quantitativo è in grado di intimidire tutti gli stati del Sud-Est asiatico. A metà agosto, sono terminate le manovre denominate “Garuda Shield”, con la partecipazione della marina statunitense e quella indonesiana e a cui si sono uniti per la prima volta Giappone, Australia e Singapore. La Cina ha anche annunciato che invierà 3.500 militari alle manovre militari “Vostok” (Oriente in russo) dell’Armata Rossa, che si terranno dal 30 agosto al 5 settembre, dimostrando così la solidità dei rapporti militari con l’alleato Putin.

Ma le imprese occidentali preparano le valigie

Fare la voce grossa e mostrare la propria potenza militare è senz’altro un atteggiamento da grande potenza ma, forse, la dirigenza del Partito comunista cinese dovrebbe iniziare a prendere in considerazione anche le possibili conseguenze della sua nuova aggressività. All’inizio di quest’anno, le imprese europee con una presenza in Cina che stavano prendendo in considerazione lo spostamento delle proprie attività fuori dal Paese asiatico erano l’11 per cento. Nell’aprile 2022, dopo l’invasione dell’Ucraina, la percentuale è salita al 23 per cento. I dati sono quelli forniti da due sondaggi condotti tra i suoi iscritti dalla Camera di Commercio della Ue in Cina. Dopo la prova di forza cinese nello stretto di Taiwan, è molto realistico ipotizzare che le grandi imprese occidentali con impianti produttivi in Cina o con vasti accordi con i produttori locali comincino seriamente a porsi il problema del crescente rischio geopolitico. Se Taiwan diventasse la nuova Ucraina e i rapporti commerciali si interrompessero, come è successo con la Russia, ci sarebbero colossali ripercussioni a livello economico con esiti catastrofici per l’economia mondiale.

L’Apple Park di Cupertino, in California, sede della multinazionale. Altre imprese potrebbero seguire l’esempio della Apple e spostare progressivamente le proprie produzioni fuori dalla Cina.

Non se ne discute molto ma, da un paio di anni, il colosso Apple ha cominciato a spostare parte della sua produzione dalla Cina verso il Vietnam. Dopo aver creato alcune linee di produzione in India dove, dall’inizio del 2022, si assembla l’iPhone13, il gigante di Cupertino è in trattative con il governo di Hanoi per produrre nel Paese gli Apple Watch e i MacBook. Il Vietnam è già il più grande centro produttivo della Apple al di fuori della Cina, vengono infatti realizzati qui i tablet iPad e gli auricolari AirPods. La scelta di optare per il Vietnam è stata anche favorita dal fatto che le chiusure degli stabilimenti di Shangai, a causa della pandemia, avevano causato pesanti interruzioni nella catena di approvvigionamento. Non si può escludere che altre grandi imprese seguano la Apple e, sulla base di valutazioni strategiche, scelgano di delocalizzare le proprie produzioni al di fuori della Cina. Forse, nel mettere in atto le sue prove di forza, Xi Jinping dovrebbe anche soppesare attentamente le implicazioni economiche delle sue manovre militari e quali danni potrebbero causare alla stessa economia cinese.

Galliano Maria Speri