Perché la comunità ebraica internazionale non condanna il genocidio in atto a Gaza?

Il 4 maggio 2025 il governo israeliano ha deciso una vasta offensiva di terra destinata a prendere il controllo della Striscia, mentre blocca l’arrivo di cibo, acqua e medicinali, in aperta violazione del diritto internazionale umanitario. I ripetuti bombardamenti continuano a uccidere decine di innocenti ogni giorno, senza un apparente scopo militare che non sia quello di una brutale pulizia etnica. Netanyahu persegue imperterrito la sua feroce strategia nel silenzio assordante dell’intellighenzia ebraica mondiale che rimane desolatamente muta di fronte a quello che è un vero e proprio genocidio. Perché i bambini palestinesi fatti a pezzi non suscitano sdegno nel civile Occidente?

Il termine genocidio fu utilizzato per la prima volta dal giurista ebreo-polacco Raphael Lemkin per designare, in seguito allo sterminio degli Armeni consumato da militari fanatici dell’Impero Ottomano nel 1915-16, una situazione nuova e scioccante per l’opinione pubblica. Ma fu soltanto dopo lo sterminio degli ebrei compiuto dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale e l’istituzione di un tribunale internazionale per punire tali condotte, che la parola iniziò a essere utilizzata nel linguaggio giuridico per indicare un crimine specifico, recepito sia nel diritto internazionale sia nel diritto interno di numerosi Paesi. Il 9 dicembre 1948 l’Assemblea generale dell’ONU ha poi adottato una convenzione che stabilisce la punizione del genocidio commesso sia in tempo di guerra sia nei periodi di pace e lo qualifica come «l’uccisione di membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso; le lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; la sottomissione del gruppo a condizioni di esistenza che ne comportino la distruzione fisica, totale o parziale; le misure tese a impedire nuove nascite in seno al gruppo, quali l’aborto obbligatorio, la sterilizzazione, gli impedimenti al matrimonio ecc.; il trasferimento forzato di minori da un gruppo all’altro». Questa definizione è stata accolta nell’art. 6 dello Statuto della Corte penale internazionale firmato a Roma il 17 luglio 1998.

Gaza, 8 ottobre 2023: è l’inizio di una campagna di bombardamenti e distruzione indiscriminata che va avanti da un anno e mezzo (Foto dell’agenzia palestinese WAFA).

Come si evince dal testo approvato dall’ONU, i bombardamenti delle strutture civili, la sistematica distruzione di ospedali e scuole, l’uso del cibo come arma di guerra condotti dall’esercito israeliano a Gaza rientrano oggettivamente nella definizione di genocidio, non si tratta di vittime collaterali di una offensiva giustificata. Per non parlare poi della terribile guerra psicologica condotta contro un’intera generazione di giovani palestinesi che, forse, non si riprenderanno più dal trauma. Questa è una deliberata politica di uccisione di massa che non può essere definita in nessun altro modo se non con la parola genocidio. Lo ha detto esplicitamente il professore israelo-americano Omer Bartov, uno studioso dei genocidi, in un suo articolo sul britannico Guardian del 13 agosto 2024. Lo ha denunciato con angoscia papa Francesco che ha dato disposizioni affinché la sua “papamobile”, la stessa utilizzata nel viaggio in Terra Santa, venga trasformata in un presidio medico mobile destinato ai bambini di Gaza. Ma queste denunce cadono nel vuoto perché Netanyahu si appresta a far scattare una nuova invasione di Gaza a tempo indeterminato che nelle parole del segretario generale dell’ONU Guterres «porterà inevitabilmente all’uccisione di molti altri civili e all’ulteriore distruzione di Gaza».

Crimini di guerra come strategia

La nuova offensiva annunciata dalle Forze Israeliane di Difesa (IDF, la parola difesa va interpretata in senso tragicamente ironico visto che queste supposte forze “di difesa” conducono costantemente campagne “preventive” sui Paesi vicini bombardando il Libano, la Siria, l’Iraq, lo Yemen e, naturalmente, l’Iran senza che vi sia nessuna reazione significativa a livello internazionale). La sfrontatezza e il senso di impunità di Netanyahu sono arrivati a un punto tale da annunciare che la liberazione degli ostaggi israeliani, che era iniziata prima che la tregua fosse violata unilateralmente dallo stesso primo ministro, non è l’obiettivo principale dell’offensiva. L’estremista di destra Bezael Smotrich, che nel governo ha il ruolo di ministro delle Finanze, ha dichiarato il 5 maggio che gli ebrei devono cominciare a familiarizzare con la parola “occupazione”. Diventa sempre più evidente che la vera intenzione del governo è quella di prendere possesso stabilmente di Gaza, espellerne in qualche modo i palestinesi (su vagoni bestiame sigillati?) e costruire nuove colonie. Il concetto è stato chiarito ulteriormente dal ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir che ha ribadito ancora una volta che nella Striscia non deve entrare nessuna forma di aiuto e, quindi,  i palestinesi devono morire di fame, di sete e di malattie. In quale altro Paese al mondo è possibile che un ministro pronunci frasi di questo tipo e rimanga tranquillamente al proprio posto?

La mattina del 6 maggio a Prima pagina, la trasmissione di Radio 3 in cui un giornalista a turno legge la stampa italiana e dialoga successivamente con gli ascoltatori, una signora ha telefonato riferendo quello che le aveva detto una sua conoscente palestinese che vive a Gaza. La donna, madre di cinque figli, aveva raccontato dell’imminenza della nuova invasione e commentava dicendo: «Tra poco ci ordineranno di spostarci ancora una volta e, come già accaduto, ci bombarderanno. Io spero soltanto di morire subito con i miei figli, così smetteremo di soffrire». La domanda che dovremmo porci è che, dato per scontato che ognuno ha il sacrosanto diritto alle proprie opinioni politiche, come è possibile accettare tanta ottusa ferocia, la precisa volontà di annientamento di un “nemico” considerato soltanto una cosa da eliminare. Questi fatti stanno avvenendo ora, nel momento in cui sto scrivendo, non sono successi durante i secoli bui, né nel corso delle immani tragedie della Seconda guerra mondiale. Da diciassette mesi, ogni giorno, i bombardamenti israeliani uccidono trenta, quaranta, cento persone. I bambini e le bambine mutilate sono decine di migliaia. I giornalisti palestinesi uccisi a Gaza finora (Israele vieta l’ingresso alla stampa internazionale) sono 212, in moltissimi casi deliberatamente, da cecchini che mirano alla testa.

La scritta all’ingresso del Memoriale della Shoah di Milano. Purtroppo, ancora oggi il mondo assiste con indifferenza ai continui massacri a Gaza e in decine di altri Paesi in cui imperversano guerre e povertà.

Una certa pubblicistica ha denunciato il “silenzio di Pio XII” che, effettivamente, non condannò mai pubblicamente i crimini nazisti ma diede ordine di aprire chiese e conventi per salvare silenziosamente quanti più ebrei possibile. La stessa accusa non può essere rivolta però a papa Francesco, che si è sgolato ogni domenica nel chiedere la cessazione dei conflitti senza essere ascoltato da nessuno. Oggi c’è un altro tipo di silenzio ed è quello della comunità ebraica internazionale che, finora, non ha osato prendere posizione per i crimini commessi dal governo israeliano. Una grande donna come la senatrice a vita Liliana Segre (molto critica con l’operato di Netanyahu) ha voluto che all’ingresso del Memoriale della Shoah di Milano campeggiasse la scritta “Indifferenza” per denunciare l’atteggiamento di coloro che assistettero passivamente alla deportazione degli ebrei italiani. Viviamo in un periodo buio ma io voglio illudermi che, in un prossimo futuro, ci sarà un tribunale internazionale (il mio modesto consiglio è quello di scegliere come sede la ridente città tedesca di Norimberga) che condannerà i crimini commessi a Gaza, in Sudan, in Ciad, in Somalia, in Myanmar, in America Centrale e in decine di altri sfortunati Paesi. Cosa diranno allora coloro che oggi tacciono sulle vittime innocenti fatte da Netanyahu e soci?

 Galliano Maria Speri