Gli USA di Trump: da faro della libertà a buco nero della democrazia

Il nuovo presidente non è la causa ma l’effetto di una profonda crisi identitaria, che ha origini lontane ma è deflagrata nel 2008. Trump è diventato il campione di una polarizzazione radicale che mina alle fondamenta la governabilità del Paese. All’interno promuove aggressivamente una strategia che minaccia direttamente l’ordine costituzionale, mentre all’esterno ha adottato un linguaggio brutale e una politica ostentatamente neoimperiale. Nel rigettare globalizzazione e cosmopolitismo, ha dato voce a un’America bianca e nostalgica che sogna di riportare indietro le lancette della storia, al periodo del secondo dopoguerra, prima delle profonde trasformazioni politiche, sociali e culturali degli anni Sessanta e Settanta. Ma il suo unilateralismo divisivo rischia di trasformarsi nell’acceleratore di un declino che gli USA si ostinano a non voler vedere. Mario Del Pero, noto americanista, analizza con lucidità questa complessa dinamica che ha implicazioni cruciali per l’Europa e il mondo.

Uno dei pregi di questo saggio è il tono pacato e lo sforzo costante di comprendere gli eventi con analisi basate su dati concreti e affidabili, senza assumere posizioni preconcette. Dovrebbe essere la base di qualunque lavoro che affronti le questioni storiche ma, nel caso di Trump, la cosa non è per nulla scontata visto che il personaggio viene giudicato quasi sempre sulla base della narrativa che un mago della manipolazione come lui è riuscito a imporre e non sui fatti puri e semplici. Il presidente non è un politico ma un abilissimo entertainer televisivo che ha conquistato una solida base (intorno al 40-45 per cento dell’elettorato) che crede a qualunque affermazione esca dalla sua bocca, a prescindere dalle evidenze della realtà. Non ha quindi bisogno di dimostrarsi coerente, affidabile, competente come dovrebbe fare qualunque politico perché lo zoccolo duro che lo sostiene etichetta qualunque critica come un attacco motivato politicamente. Può dire tutto e il contrario di tutto, senza che questo influisca sul sostegno di cui gode.

Le radici del problema

Trump ha conquistato la Casa Bianca nel 2016 perché è riuscito a intercettare il malessere, le paure e anche il razzismo di una parte dell’elettorato di fronte ai cambiamenti della globalizzazione e alle conseguenze della devastante crisi finanziaria del 2007-2008. The Donald ha costruito le sue fortune politiche sulla base di menzogne (è lui che ha popolarizzato la tesi falsa che Obama non fosse nato alle Hawaii e quindi non aveva diritto alla presidenza) e di una narrazione che non aveva nessuna relazione con gli eventi reali. Gli Stati Uniti godono di una posizione centrale nell’economia internazionale grazie allo strapotere del dollaro usato come riserva valutaria dalle banche centrali e possiedono il più potente e avanzato esercito del mondo. Eppure, nel racconto che ne ha fatto Trump, questi privilegi e la persistente superiorità militare degli USA non sono riconosciuti ma vengono apertamente negati. Nel mondo di Trump gli Stati Uniti «sono costantemente sconfitti e umiliati: da rivali commerciali; da alleati parassitari; da istituzioni internazionali che pretendono di limitare la loro libertà e autonomia; da corrotte élite globaliste, interne e internazionali».

Fare l’America di nuovo grande, l’obiettivo del movimento MAGA di Trump, significa riportarla al periodo della grande crescita e stabilità seguite alla vittoria della Seconda guerra mondiale, quando il potere era interamente gestito da maschi bianchi, le donne stavano a casa a fare il bucato e le minoranze non si sognavano nemmeno di protestare in difesa dei propri diritti. Dopo la crisi energetica dei primi anni Settanta e il rigetto di qualunque forma di frugalità, si affermarono le tesi del presidente Reagan, diventate ben presto ortodossia tra i repubblicani. La promessa della supply-side economics reaganiana era che la «possibile riduzione del gettito provocata dai tagli alle tasse sarebbe stata compensata dall’aumento della base imponibile grazie a una crescita economica stimolata dalla minore pressione fiscale. In realtà gli USA sono entrati in un’epoca di alti, altissimi deficit interni. Dal 1970 a oggi, vi sono stati solo quattro attivi di bilancio, durante il secondo mandato presidenziale di Bill Clinton (1997-2001). Combinati con strutturali deficit commerciali, quelli interni hanno alimentato una crescita del debito pubblico, passato dal 30% del 1980 al 120% attuale (con proiezioni al 150-160% nel 2050)».

Tra il 1980 e la crisi del 2008, i consumi personali come percentuale del PIL aumentarono di quasi 10 punti percentuali, dal 60 al 68% (passando da 1.700 a più di 10 mila miliardi di dollari). Secondo Del Pero questo sviluppo fu favorito «da mille agevolazioni e incentivi, su tutti quelli permessi dalla diffusione di massa delle carte di credito, la crescita del consumo privato è avvenuta contestualmente al crollo di una propensione al risparmio che almeno fino a mezzo secolo fa non era, negli USA, così diversa da quella di paesi più frugali e cauti. I risparmi personali come percentuale del reddito disponibile sono passati da circa il 15% della metà degli anni Settanta al quasi 0% del pre-2008». La crisi del 2008 e l’esplosione della doppia (e interdipendente) bolla speculativa – finanziaria e immobiliare – avrebbero affondato l’illusione, della crescita illimitata basata sui consumi, delegittimando sia le condizioni nelle quali era maturata sia le élite che l’avevano avallata e sfruttata, e aprendo così le porte all’improbabile ascesa politica di Donald Trump.

Trump sta illudendo i suoi sostenitori che la sua politica dei dazi stia gonfiando le entrate degli Stati Uniti. Quello che è certo è che la legge finanziaria del 2025 (chiamata dal presidente Big Beautiful Bill) secondo le proiezioni del CBO, l’agenzia federale non partitica che assiste il Congresso, dovrebbe determinare un aumento del deficit di circa 3.400 miliardi di dollari nel prossimo decennio, con una contestuale crescita del debito e del costo degli interessi passivi. Il presidente è abilissimo a vendere la propria politica e a esaltare i grandi successi da lui ottenuti ma, nella sua frenesia di disarticolare il sistema normativo e annichilire gli avversari politici, non si rende conto che l’attacco alla ricerca indipendente delle università e il drastico ridimensionamento delle misure di prevenzione medica porteranno a un indebolimento egli Stati Uniti, il contrario dell’obiettivo del movimento MAGA.

La questione della corruzione

Tra il 2010 e il 2024, le spese per le campagne presidenziali e congressuali sono più che triplicate, offrendo leve d’influenza ancora più forti ad attori economici capaci di mettere sul tavolo ingenti risorse. E sono ulteriormente aumentati i conflitti d’interesse e gli intrecci tra pubblico e privato. Del Pero scrive che «le amministrazioni democratiche non ne sono state affatto immuni, in particolare quella di Joe Biden, che scelse come segretario della Difesa un uomo come Lloyd Austin, fino a pochi giorni prima della nomina membro (lautamente retribuito) del consiglio di amministrazione di un gigante dell’industria militare come UTC (poi fusasi con Raytheon), tra i principali beneficiari delle commissioni del Pentagono che andava a dirigere. E che dovette gestire la storiaccia – e, di nuovo, i pesanti conflitti d’interesse – del figlio Hunter, lobbista senza arte né parte per un gigante dell’energia ucraina, incline a usare con grande spregiudicatezza i suoi legami familiari».

Con Trump abbiamo però avuto un ulteriore, macroscopico salto di qualità. Durante la sua prima amministrazione vi furono i casi dei dignitari stranieri che alloggiavano nelle sue residenze, dei suoi investimenti esteri non autorizzati, della figlia Ivanka che nonostante gli scontri con Pechino otteneva procedure privilegiate per la registrazione di numerosi marchi commerciali in Cina, del genero Jared Kushner che, appena terminato il suo mandato di consigliere speciale per il Medio Oriente, creava una sua struttura finanziaria dotata di circa 2 miliardi di dollari provenienti quasi interamente dal fondo sovrano saudita. Questi sono stati episodi gravi avvenuti durante la sua prima amministrazione ma che impallidiscono di fronte a ciò che si è verificato dopo la seconda vittoria elettorale. A ridosso dell’insediamento, Trump e la moglie Melania hanno lanciato le loro criptovalute meme guadagnando in poco tempo decine di milioni di dollari. Pochi mesi più tardi, Trump ha ospitato una cena per gli acquirenti (molti dei quali non statunitensi) del suo cripto-meme che gli ha fruttato ulteriori 150 milioni di dollari. Ha fatto inoltre scalpore il caso del cittadino cinese Justin Sun, indagato dalla Security and Exchange Commission, l’agenzia del governo federale responsabile per la supervisione e la regolamentazione dei mercati finanziari. Oltre a partecipare alla famosa cena di Trump, Sun ha investito 75 milioni di dollari nella piattaforma di criptovalute World Liberty Financial (WLF) che il presidente aveva creato poche settimane prima del voto di novembre.

Trump non si è fatto scrupoli nell’usare la sua posizione di presidente per lanciarsi in varie imprese commerciali che gli hanno fatto guadagnare miliardi di dollari. L’immagine riproduce i simboli di varie criptovalute disponibli sul mercato.

Come imprenditore immobiliare Trump è stato un disastro, è fallito ripetutamente, ha ricevuto diverse condanne e sanzioni amministrative, ma come celebrità televisiva e, successivamente, come politico ha avuto una carriera eccezionale. Del Pero cita il politologo Steven Levitsky, uno dei principali studiosi di autoritarismo, «secondo il quale non si sarebbe mai “assistito a una corruzione così palese” come quella attuale negli Stati Uniti, “in nessun governo moderno, da nessuna parte”. Una corruzione che secondo alcune prime stime avrebbe concorso a incrementare di miliardi di dollari il patrimonio di Trump e della sua famiglia. Esempio, anch’essa, della deriva illiberale in atto negli Stati Uniti e della fragilità di molti degli anticorpi di cui dispone la vecchia e affaticata democrazia statunitense».

Il saggio nota che, finora, l’unica vera opposizione alla marcia trionfale di Trump sia stata la magistratura anche se la Corte suprema, di orientamento conservatore, ha recentemente negato il valore universale dei pronunciamenti delle corti minori, rimovendo quindi uno dei principali strumenti con cui ostacolare l’aggressiva politica presidenziale. Non tutto è perduto, però. La struttura federale consenti ampi poteri agli stati che, già in diverse occasioni, si sono opposti alle misure illiberali del presidente. L’autore ci ricorda poi che ci sono le elezioni di metà mandato del 2026, anche se non ci si possono fare troppe illusioni. Un altro fattore che aiuta a spiegare l’ascesa e il successo politico di Donald Trump è la debolezza dei suoi avversari, «debolezza politica, organizzativa, mediatica e, anche, individuale, come fu per la fragile candidata alle presidenziali del 2024, Kamala Harris. E una debolezza certificata anch’essa da sondaggi che evidenziano, implacabili, la sfiducia generalizzata nei confronti di un partito democratico che sarebbe inviso al 60% degli americani (incluso un 25-30% di suoi stessi elettori)».

Un fattore aggiuntivo è stato che il clima politico generato da Trump ha portato alla radicalizzazione anche del Partito democratico che si è lanciato in battaglie su temi e retoriche molto distanti dalla mentalità delle persone comuni e che hanno consentito ai repubblicani di presentare gli avversari come sideralmente lontani dalla sensibilità popolare. Un esempio è stata la difesa dei diritti degli atleti transgender a partecipare alle competizioni sportive nelle categorie del sesso acquisito dopo la transizione. Del Pero ricorda che «nell’anno accademico 2024-2025, su più di 500 mila atleti-studenti che hanno partecipato alle competizioni della NCAA, meno di dieci (lo 0,0019%) erano persone transgender, nessuno dei quali sportivo di alto livello. E invece, nel tritacarne del dibattito pubblico e politico – e per gravi responsabilità democratiche – un (non) tema come questo finisce per avere una centralità e un’eco superiori a molti altri».

Mario Del Pero
Buio americano
Gli Stati Uniti e il mondo
nell’era di Trump
il Mulino, pp. 156, € 16

Galliano Maria Speri